Il requisito della disponibilità delle aree nel procedimento afferente alla installazione ed esercizio di impianti FER. L’evoluzione normativa e giurisprudenziale fino al D.Lgs 190/2024
- Jack Daniels
- 16 ago
- Tempo di lettura: 15 min
L’evoluzione normativa e giurisprudenziale fino al D.Lgs 190/2024– i confitti tra più istanze - lo sdoppiamento dei procedimenti
Molti comuni si stanno ponendo questo tema di fronte alle nuove istanze, preventive rispetto agli impianti, per le opere complementari. Entriamo nel tema, non semplice – e ci scusiamo per la lunghezza - con una attenta disamina delle normative e degli effetti che determina, sperando che costituisca la fonte di soluzioni adeguate.
Il requisito della disponibilità delle aree ai fini della installazione di impianti FER viaggia nei procedimenti autorizzatori secondo un doppio binario: da un lato impone infatti l’individuazione della sua consistenza e, dall’altro, la delimitazione della forbice temporale entro il quale soddisfarne l’integrazione. Occorre cioè stabilire i confini della disponibilità anche in relazione alla presentazione delle istanze, individuando se il requisito prescritto vada soddisfatto prima o durante l’iter autorizzatorio.
In origine: il D.Lgs 387/2003 e le linee guida ministeriali contenute nel DM 10.9.2010
La normativa che disciplinava il rilascio del provvedimento autorizzatorio prevedeva che il soggetto proponente, quale condizione ineludibile, avesse la disponibilità delle aree oggetto d’intervento, in ogni caso prima dell’ottenimento del relativo titolo ad esercire l’impianto.
I commi 4 e 4bis del D.Lgs 387 stabilivano infatti che:
L'autorizzazione di cui al comma 3 è rilasciata a seguito di un procedimento unico, comprensivo, ove previste, delle valutazioni ambientali di cui al titolo III della parte seconda del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, al quale partecipano tutte le amministrazioni interessate, svolto nel rispetto dei principi di semplificazione e con le modalità stabilite dalla legge 7 agosto 1990, n. 241. Il rilascio dell'autorizzazione comprende, ove previsti, i provvedimenti di valutazione ambientale di cui al titolo III della parte seconda del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, costituisce titolo a costruire ed esercire l'impianto in conformità al progetto approvato e deve contenere l'obbligo alla rimessa in pristino dello stato dei luoghi a carico del soggetto esercente a seguito della dismissione dell'impianto o, per gli impianti idroelettrici, l'obbligo all'esecuzione di misure di reinserimento e recupero ambientale. Il termine massimo per la conclusione del procedimento unico è pari a novanta giorni nel caso dei progetti di cui al comma 3-bis che non siano sottoposti alle valutazioni ambientali di cui al titolo III della parte seconda del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152. Fuori dei casi di cui al terzo periodo, il termine massimo per la conclusione del procedimento unico è pari a sessanta giorni, al netto dei tempi previsti per le procedure di valutazione ambientale di cui al titolo III della parte seconda del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, se occorrenti. Per i procedimenti di valutazione ambientale in corso alla data di entrata in vigore della presente disposizione, il procedimento unico di cui al presente comma può essere avviato anche in pendenza del procedimento per il rilascio del provvedimento di verifica di assoggettabilità a VIA o del provvedimento di VIA.
Per la realizzazione di impianti alimentati a biomassa, ivi inclusi gli impianti a biogas e gli impianti per produzione di biometano di nuova costruzione, e per impianti fotovoltaici, ferme restando la pubblica utilità e le procedure conseguenti per le opere connesse, il proponente deve dimostrare nel corso del procedimento, e comunque prima dell'autorizzazione, la disponibilità del suolo su cui realizzare l'impianto. Per gli impianti diversi da quelli di cui al primo periodo il proponente, in sede di presentazione della domanda di autorizzazione di cui al comma 3, può richiedere la dichiarazione di pubblica utilità e l'apposizione del vincolo preordinato all'esproprio delle aree interessate dalla realizzazione dell'impianto e delle opere connesse
Al proposito, ha affermato il Consiglio di Stato con sentenza n. 4538 del 28 ottobre 2016, aderendo ad un indirizzo rigoroso, che la disponibilità dell’area agricola su cui realizzare un impianto fotovoltaico va acquisita e dimostrata preliminarmente e non durante l’iter autorizzatorio, intendendo per disponibilità l'esistenza di un diritto di proprietà ovvero diritto di superfice, usufrutto, enfiteusi, subenfiteusi risultante da titolo certo e definitivo anteriore alla data di avvio del relativo procedimento amministrativo. Parimenti la disponibilità ottenuta mediante locazione o comodato dovrà essere dimostrata alle medesime condizioni.
Il comma 4 bis dell’art. 12 del D.Lgs 387/2003, ove prevedeva che per gli impianti fotovoltaici e a biomassa la disponibilità del suolo possa essere dimostrata “nel corso del procedimento e comunque prima dell’autorizzazione”, è stato infatti modificato dall’art. 65 comma cinque del d.l 24 gennaio 2012 n. 1, ad esso successivo, il quale ha disposto che “il comma 4 bis dell’articolo 12 del D.Lgs 387/2003 deve intendersi riferito esclusivamente alla realizzazione di impianti alimentati a biomasse situate in aree classificate come zone agricole dagli strumenti urbanistici comunali”. In altri termini, se poteva ammettersi che la disponibilità dell’area potesse comunque intervenire nel corso del procedimento, la disposizione suddetta pareva escludere tale possibilità per gli impianti fotovoltaici.
La norma citata trova peraltro conforto anche nell’art. 13.1 lett. c) e d) delle Linee Guida nazionali sugli impianti FER (DM 10 settembre 2010) che individuano tra i contenuti minimi dell’istanza di autorizzazione unica “la documentazione da cui risulti la disponibilità dell’area su cui realizzare l’impianto e delle opere connesse”, introducendo però un discrimine fondamentale tra impianti fotovoltaici e a biomassa da un lato, e altri impianti FER, tra cui l’eolico, dall’altro.
Le norme anzidette prevedono infatti che:
nel caso di impianti alimentati a biomassa e di impianti fotovoltaici, è allegata la documentazione da cui risulti la disponibilità dell'area su cui realizzare l'impianto e delle opere connesse, comprovata da titolo idoneo alla costruzione dell'impianto e delle opere connesse , ovvero, nel caso in cui sia necessaria, la richiesta di dichiarazione di pubblica utilità delle opere connesse e di apposizione del vincolo preordinato all'esproprio, corredata dalla documentazione riportante l'estensione, i confini ed i dati catastali delle aree interessate ed il piano particellare; tale documentazione è aggiornata a cura del proponente nel caso il progetto subisca modifiche durante la fase istruttoria;
per gli impianti diversi da quelli di cui al punto c) è allegata la documentazione da cui risulti la disponibilità, nel senso precisato al punto c), dell'area interessata dalla realizzazione dell'impianto e delle opere connesse ovvero, nel caso in cui sia necessaria la procedura di esproprio, la richiesta di dichiarazione di pubblica utilità dei lavori e delle opere e di apposizione del vincolo preordinato all'esproprio corredata dalla documentazione riportante l'estensione, i confini ed i dati catastali delle aree interessate ed il piano particellare; tale documentazione è aggiornata a cura del proponente nel caso il progetto subisca modifiche durante la fase istruttoria. Ciò significa che, ad esempio nel caso dell’eolico, la disponibilità dell’area, ivi incluso il sedime ove installare le pale, potrebbe essere acquisita anche mediante esproprio e quindi all’esito del procedimento di legge.
Il dato da cui muovere è comunque costituito dalla necessaria preventiva dimostrazione del requisito di disponibilità delle aree, sulla base di un titolo personale o reale che possa sorreggere, con sufficiente certezza, la futura installazione.
Su questo solco, anche il Tar Sardegna, con sentenza n. 118 del 26 febbraio 2020, afferente ad un progetto di impianto ibrido termodinamico/biomassa, ha ribadito il carattere imprescindibile del requisito della disponibilità delle aree.
In quel caso, la società proponente si era dotata soltanto di uno schema di convenzione con la Asl su un diritto di superficie dei terreni, peraltro mai formalmente sottoscritto, e di una bozza di convenzione con il Comune, peraltro successivamente revocata. Secondo i giudici la dimostrazione (nel corso del procedimento, e comunque prima dell'autorizzazione) della disponibilità del suolo su cui realizzare l'impianto deve essere interpretata "nel senso di esigere, in capo al proponente, l'esistenza di un titolo giuridico di natura reale o personale idoneo a conferire la facoltà di utilizzo non precario dell'area interessata dalla realizzazione dell'impianto". Del resto, occorre osservare quanto la prassi abbia comunque reso flessibile lo sbarramento temporale della dimostrazione circa la disponibilità delle aree che, come si vedrà, fino all’entrata in vigore del DL Ambiente (DL 17 ottobre 2024 n.153) e del D.Lgs 190/2024 poteva integrarsi anche nell’iter procedimentale. L’intransigenza si concentrava più che altro sull’analisi dei titoli che, come soprariportato, non potrebbero mai ammantare l’iter autorizzatorio di incertezza, dovendo calarsi sul proponente un preciso obbligo di acquisizione della disponibilità in questione e, comunque, sempre prima del rilascio del titolo autorizzatorio.
In tale senso, anche un contratto preliminare potrebbe rivelarsi insufficiente ad integrare il requisito richiesto, ove ad esempio sospensivamente condizionato alla definitività, e quindi non impugnabilità, degli atti autorizzatori. Si immagini, al proposito, che al rilascio di un AU segua un’impugnazione. In quel caso il proponente, stante la condizione anzidetta non sarò obbligato all’acquisto delle aree, privando l’autorizzazione già rilasciata dall’autorità procedente di un requisito essenziale, divenendo per ciò stesso viziata ab origine.
Il Decreto Ambiente ed il D.Lgs 190/2024: la disponibilità come pre-requisito e gli eccessi del sistema
Il DL 17 ottobre 2024 n.153, all’art.1 comma2, prevedeva che: Per i progetti di produzione energetica da fonte fotovoltaica, solare termodinamica, a biomassa o a biogas, nonché di produzione di biometano, il proponente del provvedimento di VIA di cui all'articolo 25 del decreto legislativo n. 152 del 2006, come modificato dal comma 1, lettera e), del presente articolo, allega una dichiarazione, redatta ai sensi degli articoli 46 e 47 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, attestante la legittima disponibilità, a qualunque titolo, della superficie su cui realizzare l'impianto, ferme restando la pubblica utilità e le procedure conseguenti per le opere connesse.
L’articolo in questione, risultato dalla conversione di cui alla L. 13.12.2024 n.191, introduce una novità di forte impatto sulla materia, poiché prescrive la necessità che in sede di deposito della VIA, per alcune tipologie di impianti FER tra cui il fotovoltaico, il proponente debba autodichiarare la legittima disponibilità delle aree ove installare l’impianto, concludendo con una riserva circa l’avvio di eventuali procedure espropriative per le opere connesse. Ne discende, quindi, che per le opere connesse le norme sulla Valutazione di Impatto Ambientale continuano ad ammettere la possibilità che la disponibilità possa essere acquisita in seno al procedimento ed anche mediante esproprio; ma il dato che lascia stupore risiede senz'altro nell’avere codificato l’obbligatorietà per il proponente di autodichiarare il possesso di titoli legittimi ai fini dell’integrazione del requisito. Oltre ad aprire il tema inevitabile del controllo sulle dichiarazioni in capo alle autorità procedenti, la norma anticipa la soglia temporale ai fini della dimostrazione della disponibilità al momento della presentazione dell’istanza di VIA. L’autodichiarazione, infatti, se da un lato consente di superare la necessità di vagliare i titoli di disponibilità durante il procedimento, dall’altro impone al proponente l’obbligo di acquisire la disponibilità anzidetta prima dell’avvio dell’iter valutativo, perché solo così risulterà fedele alla propria dichiarazione. Il quadro descritto costringe a riflettere sugli effetti della norma. L’istante, infatti, dovendo acquisire in via definitiva la disponibilità delle aree prima dell’avvio della VIA, dovrà subire, a cascata e in senso negativo, le possibili modifiche che avvengono, spesso nella prassi, sui progetti presentati. Basti pensare ad una riduzione del lay-out, un mutamento del confine recintato dei pannelli fotovoltaici, una differente previsione delle opere di mitigazione e della loro distribuzione ecc...
A ciò si aggiunga quanto previsto dal D.Lgs 190/2024 agli artt. 9 co.3 e 10 co.2, i quali disciplinano il procedimento di autorizzazione unica ed il coordinamento tra l’iter autorizzatorio ed il regime del rilascio di eventuali titoli concessori.
In particolare, l’art. 9 co.3 dispone che: “Il proponente allega all'istanza di cui al comma 2 la documentazione e gli elaborati progettuali previsti dalle normative di settore per il rilascio delle autorizzazioni, intese, licenze, pareri, concerti, nulla osta e assensi, comunque denominati, inclusi quelli per la valutazione di impatto ambientale, paesaggistica e culturale, e per gli eventuali espropri, ove necessari ai fini della realizzazione degli interventi, nonché l'asseverazione di un tecnico abilitato che dia conto, in maniera analitica, della qualificazione dell'area ai sensi dell'articolo 20 del decreto legislativo n. 199 del 2021. Nei casi di progetti sottoposti a valutazione di impatto ambientale, l'istanza deve contenere anche l'avviso al pubblico di cui all'articolo 24, comma 2, del decreto legislativo n. 152 del 2006, indicando altresì ogni autorizzazione, intesa, parere, concerto, nulla osta, o atti di assenso richiesti. Inoltre, allega la documentazione da cui risulti la disponibilità dell'area su cui realizzare l'impianto e le opere connesse, ivi comprese le aree demaniali, ovvero, laddove necessaria, la richiesta di attivazione della procedura di esproprio per le aree interessate dalle opere connesse, e, eccetto che per la realizzazione di impianti alimentati a biomassa, ivi inclusi gli impianti a biogas e gli impianti per produzione di biometano di nuova costruzione, e per impianti fotovoltaici e solari termodinamici, per le aree interessate dalla realizzazione dell'impianto.”
Mentre il successivo art. 10 prevede che:
“Qualora, ai fini della realizzazione degli interventi, sia necessaria la concessione di superfici e, ove occorra, di risorse pubbliche, si applicano le disposizioni di cui al presente articolo.
Il soggetto proponente presenta istanza di concessione della superficie e, ove occorra, della risorsa pubblica all'ente concedente che, entro i successivi cinque giorni, provvede a pubblicarla nel proprio sito internet istituzionale, per un periodo di trenta giorni, e, per estratto, nella Gazzetta Ufficiale, con modalità tali da garantire la tutela della segretezza di eventuali informazioni industriali ovvero commerciali indicate dal soggetto proponente. Alla scadenza del termine di trenta giorni, qualora non siano state presentate istanze concorrenti o, nel caso di istanze concorrenti, sia stato selezionato il soggetto proponente o altro soggetto che intenda realizzare uno degli interventi di cui al presente decreto, l'ente concedente rilascia la concessione, entro i successivi sessanta giorni, previa valutazione della sostenibilità economico finanziaria del progetto e accettazione della soluzione tecnica minima generale di connessione.
Nel caso degli interventi assoggettati al regime di cui agli articoli 8 o 9, la concessione è sottoposta alla condizione sospensiva dell'abilitazione o dell'autorizzazione unica. Il titolare della concessione presenta la PAS o l'istanza di autorizzazione unica entro il termine perentorio di trenta giorni dalla data di rilascio della concessione medesima. Nel caso in cui il titolare della concessione non presenti la PAS o l'istanza di autorizzazione unica entro il termine di cui al secondo periodo, la concessione decade. Per il periodo di durata della PAS o del procedimento autorizzatorio unico, e comunque non oltre il termine di sei o di diciotto mesi dalla data di presentazione rispettivamente della PAS o dell'istanza di autorizzazione unica, sulle aree oggetto della concessione non è consentita la realizzazione di alcuna opera né di alcun intervento incompatibili con quelli oggetto della PAS o dell'istanza di autorizzazione unica.
Nel caso degli interventi di cui al comma 3, il soggetto proponente stipula con l'ente concedente una convenzione a seguito del rilascio del titolo abilitativo o autorizzatorio e, da tale momento, sono dovuti i relativi oneri.
La concessione rilasciata ai sensi del presente articolo decade in caso di mancato avvio della realizzazione degli interventi entro un anno dal perfezionamento della PAS di cui all'articolo 8 o entro il termine stabilito dall'autorizzazione unica ai sensi dell'articolo 9, comma 11.
Il presente articolo non si applica nel caso di istanze di concessione già presentate alla data di entrata in vigore del presente decreto.
Resta fermo, per le concessioni di coltivazione di risorse geotermiche, quanto previsto dal decreto legislativo 11 febbraio 2010, n. 22, e, per le concessioni idroelettriche, quanto previsto dal regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, e dall'articolo 12 del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79.”
Si rinvengono nella pratica istanze autorizzatorie ove il soggetto proponente richiede all’Ente competente, nella specie il Comune, il rilascio della concessione di diritto di superficie, in ipotesi ai fini del passaggio dell’elettrodotto, interpretando il combinato disposto degli articoli già menzionati nel senso di dover dimostrare preventivamente la disponibilità delle aree, potendo così richiedere, paradossalmente, all’Ente citato il rilascio del titolo concessorio ancora prima di aver presentato domanda di autorizzazione all’installazione dell’impianto. È questo il punto di caduta del sistema, dove l’integrazione del requisito della disponibilità delle aree viene talmente spostato in avanti da contemplare un potenziale conflitto tra i titoli che concedono le aree per un impianto e la futura eventuale autorizzazione all’esercizio dell’impianto medesimo.
Peraltro, l’art. 10 sopracitato andrebbe maggiormente indagato poiché al comma 1 individua il proprio ambito oggettivo facendo riferimento agli interventi bisognosi di concessione di superfici e, ove occorra, di risorse pubbliche.
Il caso dell’elettrodotto soprariportato impone ulteriori analisi. Ed invero, il titolo concessorio, così come previsto e disciplinato dalla norma, appare contrastare con la stessa natura dell’intervento richiesto, dal momento che lo scavo e la posa dell’elettrodotto afferiscono non solo e non tanto all’utilizzo del sedime stradale, quanto piuttosto ad un vero e proprio passaggio di conduttura elettrica all’interno dei tratti stradali coinvolti, più assimilabile ad una servitù ex art. 1056 cc. Occorre infatti evidenziare che il R.D 11 dicembre 1933 n. 1775, contenente l’approvazione del testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e sugli impianti elettrici, prevede un capo specifico denominato “Servitù di elettrodotto”, il quale apre con l’art. 119 che contiene la seguente disposizione : “ Ogni proprietario è tenuto a dar passaggio per i suoi fondi alle condutture elettriche aeree o sotterranee che esegua chi ne abbia ottenuto permanentemente o temporaneamente l'autorizzazione dall'autorità competente.”.
Il legislatore ha lasciato dunque aperti temi cruciali nella prassi autorizzatoria e nella gestione dei procedimenti, residuando nell’interprete (e in prima linea nei Comuni) la difficile esegesi delle norme, onde armonizzare - da un lato le istanze del privato dirette ad ottenere la concessione o, comunque, l’autorizzazione tesa ad assentire, preventivamente, le opere connesse e complementari, - e dall’altro le domande vere e proprie relative all’ottenimento dell’abilitazione alla costruzione ed esercizio dell’impianto FER. In altre parole, il sistema ha creato una sorta di giano bifronte ove il destino delle opere connesse e quello dell’impianto principale, prima convivente in un solo ed unico binario procedimentale, oggi si frammenta a causa della necessaria preventiva dimostrazione della disponibilità delle aree, costruita come sbarramento rispetto al proseguo dell’istruttoria. Ciò genera inevitabili conflitti e su più fronti:
-anzitutto il possibile contrasto tra provvedimenti afferenti ad un intervento unitario. Non va infatti dimenticato che le opere connesse fanno sempre parte dell’installazione ed esercizio dell’impianto, così che la duplicazione procedimentale potrebbe produrre provvedimenti in astratto confliggenti. Si pensi al caso ove viene rilasciata una concessione di diritto di superficie per una determinata opera a carattere connesso o complementare, senza che poi l’impianto FER venga mai assentito, perché ad esempio non supera la valutazione di impatto ambientale, ovvero presenta una conformazione fisica e tecnica tale da contrastare con gli strumenti di Piano di qualsivoglia natura (si pensi al caso di vincoli che insistono nell’area dei pannelli di un impianto fotovoltaico). Vero è che l’art. 10 co.3 del D.Lgs 190/2024 così recita: “Nel caso degli interventi assoggettati al regime di cui agli articoli 8 o 9, la concessione è sottoposta alla condizione sospensiva dell'abilitazione o dell'autorizzazione unica. Il titolare della concessione presenta la PAS o l'istanza di autorizzazione unica entro il termine perentorio di trenta giorni dalla data di rilascio della concessione medesima. Nel caso in cui il titolare della concessione non presenti la PAS o l'istanza di autorizzazione unica entro il termine di cui al secondo periodo, la concessione decade. Per il periodo di durata della PAS o del procedimento autorizzatorio unico, e comunque non oltre il termine di sei o di diciotto mesi dalla data di presentazione rispettivamente della PAS o dell'istanza di autorizzazione unica, sulle aree oggetto della concessione non è consentita la realizzazione di alcuna opera né di alcun intervento incompatibili con quelli oggetto della PAS o dell'istanza di autorizzazione unica.” La disposizione, tuttavia, non risolve affatto i problemi interpretativi, se mai complica il quadro. Al proposito, si immagini il caso, come soprariportato, di una servitù di elettrodotto. In quell’ipotesi nemmeno si applicherebbe la disposizione anzidetta (quell’art.10 parla infatti di concessioni) permettendo, per assurdo, che il titolare esegua immediatamente gli scavi senza nemmeno essere autorizzato alla costruzione dell’impianto. Inoltre, la condizione sospensiva apposta alla concessione blocca comunque qualunque altro tipo di intervento in quell’area, come chiarito dall’ultimo inciso dell’art.10 “non è consentita la realizzazione di alcuna opera né di alcun intervento incompatibili con quelli oggetto della PAS o dell'istanza di autorizzazione unica” istituendo una sorta di prelazione ex lege a favore di una futura (ma soprattutto incerta) realizzazione di impianti FER, graduando implicitamente le opere pubbliche, come se le fonti di energia alternativa debbano comunque e sempre prevalere rispetto ad altri interventi avuti in animo dagli Enti pubblici. Un esempio banale può chiarire la portata del problema: si pensi ad un’area che potrebbe risultare interessata dal passaggio di una conduttura pubblica o che un Comune desidera espropriare per la realizzazione di un’opera. Quell’area, se oggetto di concessione in favore di un privato per la futura costruzione di un impianto FER, resterebbe di fatto interdetta alla pianificazione pubblica. Si tratta dell’ulteriore dimostrazione di come, questa materia, abbia lasciato in mano ai privati il potere pianificatorio, sotto l’imperativo, talvolta abusato, della transizione energetica.
- Esiste anche un ulteriore livello di conflitto, ed è quello che si verrebbe a creare tra le diverse domande autorizzatorie e le preventive istanze di concessione. L’Amministrazione, chiamata a seguire un criterio cronologico, potrebbe dapprima autorizzare il passaggio di un cavidotto senza avvedersi di come effettivamente sia progettato l’impianto a monte che, magari, nel successivo iter procedimentale potrebbe non essere autorizzato. Quella concessione rilasciata a monte pregiudicherebbe così tutte le successive istanze aventi il medesimo oggetto, pur non avendo mai raggiunto l’abilitazione alla costruzione ed esercizio dell’impianto. Ma c’è di più, tale impostazione pregiudicherebbe anche la possibilità per i Comuni di disciplinare in via consortile il passaggio dei cavidotti. L’apertura delle infrastrutture stradali, onde consentire l’allocazione dei cavi e del trasporto dell’energia, è infatti un tema di assoluta priorità. La condizione attuale vede territori afflitti da molteplici e contemporanee istanze, e sarebbe auspicabile gestirle in via unitaria, evitando che le autorizzazioni determinino continua apertura del manto stradale e reiterata presenza dei cantieri. L’obbligo in capo alle società autorizzate di consorziarsi stabilendo un cronoprogramma complessivo, così che i lavori di escavazione e di passaggio dei cavidotti vedano un’unita spazio-temporale, poteva costituire una soluzione di governo del territorio a favore dei Comuni; ma il prerequisito della dimostrata disponibilità delle aree con ottenimento, in via preventiva, dei titoli necessari anche alle opere connesse complica il quadro elevando la frammentazione.
Una possibile valvola del sistema non si rinviene nella futura legge regionale che non potrebbe entrare nella disciplina di quel requisito, tanto meno con previsioni in contrasto rispetto a quanto dettato dal legislatore statale. Il vizio di incostituzionalità incombe infatti sull’esercizio del potere, poiché ogni aggravio o limitazione imposta sconfinerebbe immediatamente nella violazione del principio alla massima diffusione degli impianti FER. L’atteggiamento più prudente è quello per cui la Regione, quale Ente sovraordinato, inviti tutti i Comuni alla massima cautela, magari auspicando ad un coordinamento istruttorio. Si potrebbe invero invitare anche tutti gli operatori economici a collaborare lealmente affinchè le istanze possano essere il più esaustive e chiare possibili, rendendo evidente già con la richiesta di connessione il progetto di massima ed il layout dei futuri impianti FER.
Avv. Marco Luigi Marchetti
Avv. Silvia Malacchi